FILOSOFIA, ETICA E DIRITTI ANIMALI
Approfondimenti:
Link:
Esiste un'etica per gli animali? (Luisella Battaglia)
Documento:
Anche gli animali piangono - Jeremy Rifkin (pdf)
Animalisti contro la guerra
Colpisci e terrorizza
Animali umani e non. Quelli non umani
hanno sentimenti e quindi meritano diritti (Jeremy Rifkin)
Animalismo per ragazzi
A volte ritornano
Animalia
Articolo:
i pensieri del moscerino
A VOLTE RITORNANO
di Massimo Filippi
“Provo pietà nel vedere quest’uomo
distrutto, trattato come una vacca a cui vengono controllati
i denti”.
Cardinal Renato Martino, Presidente del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace (1) |
Così, con l’immancabile e tradizionale esprit de finesse
nei confronti della condizione animale, parlano le alte gerarchie
cattoliche a proposito della cattura di Saddam Hussein (2). Queste
parole seppur fastidiose dimostrano tuttavia, nonostante ed oltre
le intenzioni del loro locutore, quanto stia cambiando lo Zeitgeist
circa la percezione dell’inestricabile legame tra diritti
umani e diritti animali. Inestricabile legame che percorre sottotraccia
la storia della filosofia occidentale da Teofrasto ad Adorno, Singer
e Regan e che è mirabilmente descritto da Charles Patterson
in “Un’eterna Treblinka” (3). Legame ormai così
profondamente radicato nella nostra coscienza collettiva da ispirare,
con un funzionamento simile a quello del lavoro del rimosso nella
genesi delle nevrosi, il verbo dei rappresentanti di una delle istituzioni
che più ha contribuito all’attuale infame condizione
animale. Nonostante, in superficie il Cardinal Martino dica che
non si può trattare un essere umano, anche il peggior dittatore,
come una “vacca”, perché le “vacche”
stanno al di fuori della sfera del diritto, tra le righe e più
in profondità, enuncia una verità cruciale ben chiara,
da tempo, all’animalismo filosofico: è possibile trattare
certi uomini o gruppi umani come animali proprio mantenendo gli
animali al di fuori delle mura della polis, negandone la natura
di esseri viventi e senzienti e, come tali, necessariamente portatori
di interessi e di diritti, riducendoli allo status di ingranaggi
di un orologio (Cartesio) o, più modernamente, a ingranaggi
dimenticati del mercato globale nell’epoca del dominio incontrastato
della tecnica. In questo contesto, anche la scelta della “vacca”
tra gli innumerevoli animali che hanno popolato e popolano il bestiario
dell’esclusione, del razzismo e dell’oppressione, non
sembra casuale, ma, in qualche modo, dettato dalla congiuntura presente,
stretta tra l’incredibile corruzione del capitalismo globale
(vedi scandalo Parmalat) che, antispecificamente, “munge”
allo stesso modo “vacche”, azionisti, risparmiatori,
lavoratori e, fra non molto e necessariamente, tutti i cittadini
(compreso chi è vegano) che dovranno versare parte delle
loro tasse per appianare i debiti dell’ennesima fallimentare
impresa del capitalismo postfordista e l’arroganza degli allevatori
lumbard (vedi l’infinita querelle delle quote latte) che,
dopo aver sfruttato senza pietà le loro “vacche”
tanto da produrre ancora più latte di quanto fissato da leggi
non certamente rispettose del benessere delle stesse, le riutilizzano,
sulle autostrade o negli aeroporti, per porsi al di sopra di queste
stesse leggi a cui noi tutti (compreso chi è vegano) rispondiamo.
Quindi la storia dei lapsus di un cardinale ci apre gli occhi su
di una storia ben più complessa ed inquietante che è
quella dell’uso dell’infernale condizione degli animali,
gli ultimi della terra, l’ultimo piolo della scala dell’essere,
come terreno di coltura delle pratiche di esclusione, come palestra
formativa dell’agire violento e come onnipresente macchina
da guerra per l’eliminazione dell’Altro. Nel descrivere
quella che rimane, al di fuori del pensiero critico animalista,
una tragedia impensabile, Boria Sax enuclea lucidamente l’origine
delle pratiche naziste all’opera per rendere possibile l’Olocausto:
“I nazisti costringevano coloro che stavano per uccidere a
spogliarsi completamente e a raggrupparsi insieme, la qual cosa
non è un comportamento consueto per gli esseri umani. La
nudità dunque allude all’identità animale delle
vittime e, con l’assembramento, suggerisce l’immagine
di una mandria di mucche o di pecore. Una sorta di disumanizzazione
che rendeva più facile sparare alle vittime o ucciderle con
il gas” (4). Ecco allora il meccanismo (quasi sillogistico)
svelato nella sua ferrea ed inesorabile sequenza: a) gli animali
sono cose o, in linguaggio meno arcaico, merce e, come tali, beni
di proprietà, privi di diritti, di cui si può disporre
a proprio piacimento; b) umani o, più frequentemente, gruppi
di umani possono per i più svariati motivi (ma, in genere,
per interesse economico) essere “disumanizzati” tramite
l’uso del “referente negativo assoluto” (la bestia);
quindi c) questi umani o gruppi di umani possono essere trattati
come gli animali a cui sono stati omologati.
In quest’ottica, l’Olocausto non è più
un evento al di fuori della storia e, come tale, unico ed irripetibile,
ma ben più drammaticamente l’esempio estremo della
Grundnorm della nostra storia di specie rapace e violenta e, pertanto,
come tutti i prodotti di una routine macchinica, assolutamente ripetibile.
Dice il figlio dell’ex-medico di Auschwitz, intervistato dallo
psicologo Bar-On: “Sono convinto che ci sia un sacco di gente
capace di farlo; lo capisco dal modo in cui parlano. […] Esistono
due tipi di persone: quelli che mangiano carne e i vegetariani.
I mangiatori di carne sono quelli pericolosi […] [quelli]
che potrebbero farlo succedere di nuovo” (5). E, in effetti,
la metafora animale per disumanizzare il “nemico” è
stata all’opera prima e dopo l’Olocausto ebraico, dalle
vicende ignobili della colonizzazione europea del resto del mondo
allo sterminio degli indiani d’America, dalla guerra del Vietnam
a quelle più recenti del Golfo.(6)
A questo proposito val la pena ricordare, seppur brevemente, che
l’incedere del delirio nazista nei confronti degli ebrei è
stato un incedere per passi successivi, basati sulle tecniche dell’eugenetica
desunta dal mondo della coltura vegetale e, soprattutto, dell’allevamento
animale. Lo sterminio degli ebrei è infatti preparato e reso
possibile (anche logisticamente) dalla sterilizzazione obbligatoria
prima e dal programma T4 poi. Postisi il problema di come eliminare
i lebensunwert (i non meritevoli di vita), i nazisti procedono razionalmente,
applicando con rigore la lezione degli allevatori: prima la sterilizzazione
obbligatoria in modo da evitare la nascita di altri “inadatti”,
poi l’eliminazione fisica dei bambini inadatti, la cui nascita
non era stata obliterata dal programma di sterilizzazione e, infine,
l’”eutanasia” degli adulti indesiderati, per liberare
definitivamente la nazione dalle “piante infestanti e dai
parassiti” (7). Prima di questa oliata macchina di eliminazione
di massa ci sta la metafora animale, dopo l’Olocausto.
La metaforologia animale e le tecniche di allevamento sono ancora
potentemente attive nelle pratiche di esclusione razziste sessant’anni
dopo l’Olocausto ebraico in ogni parte del mondo. Il nostro
Paese, purtroppo, non ne è immune. E se per ora la violenza
è solo verbale, la lettura delle dichiarazioni di certi esponenti
dell’attuale maggioranza governativa (8) e la consapevolezza
di dove certi sentieri possano interrompersi, dovrebbe almeno provocare
una certa inquietudine ed uno stato di vigile allerta.
Innanzitutto, allora, la metafora animale: “Gli extracomunitari?
Vestiamoli da leprotti per far esercitare i cacciatori” (Giancarlo
Gentilini, Lega Nord, 1999). Similmente, nel 1942, Goebbels in visita
al ghetto di Lodz, descrisse gli ebrei che vi abitavano come “esseri
non più umani. Sono animali”. Stabilita la “natura
animale” degli extracomunitari, è a questo punto lecita,
una delle pratiche più consuete dell’allevamento, la
sterilizzazione: “Guarda caso i delinquenti sono tutti di
origine extracomunitaria. Si tratta di una situazione intollerabile.
Per prevenire simili vergognosi reati [lo stupro] serve una sola
soluzione: la castrazione fisica dei delinquenti. Un tempo si parlava
di castrazione chimica, ma personalmente sono propenso a metodi
più semplici: un colpo di forbice, e non necessariamente
sterilizzata” (Roberto Calderoli, Lega Nord, en passant vicepresidente
del Senato, 2002). Diceva Hitler: “Ora che conosciamo le leggi
dell’ereditarietà, è possibile impedire che
la maggior parte degli esseri malati e gravemente menomati vengano
al mondo. Ho studiato con grande interesse le leggi di diversi stati
americani che riguardano la prevenzione della riproduzione di soggetti
i cui figli sarebbero con ogni probabilità di nessun valore
o dannosi per la razza”. Ma, ovviamente la sterilizzazione
obbligatoria non risolve il problema alla radice. Soluzioni (finali)
per quelli già nati: “Se sarò costretto a dare
delle case agli immigrati, lo farò con il contagocce perché
prima c’è il popolo veneto. Quello che ha pagato la
Gescal per una vita, senza mai avere una casa. Per gli extracomunitari
ci sono i deserti e le savane. Quelli che vengono qui senza essere
in regola vanno impachettati come sardine e rispediti indietro”
(9) (Giancarlo Gentilini, Lega Nord, 2002). Specularmente, Walter
Gross, direttore dell’ufficio per la politica razziale nazista:
“Un popolo che costruisce palazzi per la discendenza di alcolisti,
criminali e dementi e, nello stesso tempo, costringe i suoi operai
e i suoi contadini in misere capanne è un popolo sulla strada
della rapida autodistruzione”. Oppure: “Rispediamo gli
immigrati a casa in vagoni piombati. I vagoni servirebbero per riportare
i negri oltre frontiera” (Giancarlo Gentilini, Lega Nord,
2001). Ed infine: “Non sopporto questo tentativo mondialista
di imbastardire il nostro sangue. Dobbiamo spazzare l’immigrazione.
Perché intorno alla sinagoga non girano quelle facce di merda?
Perché non ci sono vu’ cumprà?”. La folla
risponde “Ai forni, ai forni” (Mario Borghezio, Lega
Nord, en passant europarlamentare). Circa “l’imbastardimento
del sangue, basti citare Walther Darré, maggior esperto di
agricoltura del partito nazista, uno dei suoi principali ideologi
e “ispiratore” di Himmler per l’eugenetica: “L’unica
vera proprietà della nostra nazione è il suo sangue:
Ogni progresso eugenetico può avere inizio solo con l’eliminazione
del sangue inferiore”. Sul tragico binomio “vagoni piombati
– forni”, valga solo un offeso, triste, pudico e rispettoso
silenzio.
Questo ulteriore esempio nostrano, letto attraverso la filigrana
della storia, dovrebbe ancora una volta confermare che non si darà
mai completa liberazione umana senza un’altrettanto completa
liberazione animale, che lo sfruttamento animale rappresenta la
radice ontologica prima che storica dello sfruttamento umano, che
la politica della forza, paradigma del governare moderno e postmoderno,
nasce dal “fallimento fondamentale” (Kundera) dell’umanità
nel trattare con giustizia il più debole per antonomasia,
e cioè l’animale. Di questo “diritto del più
forte” di derivazione “agricola” come paradigma
della politica era già consapevole (seppur al solo scopo
di “esorcizzarlo” tramite l’intervento di Socrate)
anche Platone, che nella Repubblica fa dire a Trasimaco: “Perché
tu credi che i pastori o i bovari mirino al bene delle pecore e
dei buoi e li ingrassino e li curino con uno scopo diverso dal bene
dei padroni e loro proprio. E così pensi che anche i governanti
degli stati, intendo i governanti nel vero senso della parola, siano
rispetto ai sudditi in uno stato d’animo parecchio diverso
di quello che si può avere rispetto a pecore; e che notte
e giorno mirino a tutt’altro che a quanto potrà comportare
loro profitto. […] e, come dicevo fin dal principio, la giustizia
consiste nell’utile del più forte […]”.
(10)
Un lungo giro, quindi, tra pecore platoniche e vacche cardinalizie
per ridefinire i confini della politica in un esercizio di depotenziamento
che deve necessariamente passare attraverso un ripensamento profondo
del nostro rapporto con l’animale: sospendere l’attuale
olocausto animale per evitare nuovi olocausti umani. Animalismo,
quindi, come pratica di “debolezza” e come critica serrata
alla cultura della ragione strumentale. Critica serrata a quel plesso
teorico che ruota intorno al concetto latino di ratio, a cui ancora
noi ci rifacciamo e che intende ragione come coacervo di calcolo-misura-inventario-rapporto-affare-interesse-tornaconto
e da cui discendono o forse coabitano le quote (latte e degli immigrati
regolari) e le quotazioni (della Parmalat e non solo). E che produce
costantemente fantasmi: quelli umani risucchiati dal mare o dalle
fosse comuni e quelli degli animali inghiottiti dagli allevamenti
intensivi e dai mattatoi. E i fantasmi nevrotici dei cardinali e
dei giornalisti, così come quelli più tragici delle
menti dei nostri politici. A volte ritornano.
1. Questa frase del Cardinal Martino è
riportata, tra gli altri, da Slavoj iek nel suo interessante
articolo “Giustizia infinita sul Nemico sublime” pubblicato
su il manifesto del 27 dicembre 2003.
2. E’ interessante notare come l’articolo di Gianni
Canova “Una sola immagine nell’obiettivo” posto
in apertura dell’inserto del manifesto del 31 dicembre 2003
dal titolo “Dissolvenze di fine anno” riproduca, da
sinistra, il medesimo lapsus cardinalizio. Scrive Canova: “Al
contrario, più passano i giorni, più proprio le immagini
di quel volto - impaurito e braccato, ispezionato come una bestia
da mercato, immobilizzato per sempre nello stop frame della sconfitta
– si impongono a poco a poco non solo come la sintesi iconografica
dell’anno che sta finendo, ma anche come il vero snodo simbolico
di tutta l’ideologia e la strategia della guerra preventiva”
(corsivo mio).
3. Charles Patterson “Un’eterna Treblinka. Il massacro
degli animali e l’Olocausto”. Editori Riuniti (2003).
4. Ivi, pag. 119.
5. Ivi, pp. 236-238.
6. Per una ricostruzione dettagliata della storia dell’uso
di metafore animali come preliminare necessario per l’eliminazione
del diverso cfr. “Un’eterna Treblinka”, cit.,
pp. 29-54.
7. Così Heinrich Himmler, che proseguiva
“dei quali qualsiasi contadino doveva liberarsi se voleva
mantenere se stesso e la sua famiglia”.
8. Tutte le dichiarazioni nostrane riportate di seguito sono tratte
dall’interessantissimo articolo di Ferruccio Sansa “Bugiardi
e razzisti” apparso su MicroMega 4, 2003, pp. 206-214. Quelle
naziste sempre da “Un’eterna Teblinka”, cit.
9. Corsivo mio.
10. Platone, Repubblica in Opere Complete vol. 6, pp. 48-49, Laterza
(1986).
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