I NEMICI DEGLI
ANIMALI
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LA CHIESA
Da: STUDI CATTOLICI, Luglio-Agosto 1993, n.389/90
PSICOLOGIA: IL VEGETARIANO
VIOLENTO
Non soltanto in sede psicologica o psicoanalitica, è facile
osservare come, frequentemente, persone che si dichiarano rigorosamente
vegetariane e che guardano con orrore al consumo alimentare di qualunque
tipo di carne animale, si rivelino straordinariamente violente;
di una violenza che, se qualche volta è solo implicita, si
rivela in molti casi in modo esplicito e clamoroso. Sono rissosi,
vengono alle mani, picchiano i bambini, sono preda di improvvise
crisi di rabbia aggressiva e guardano il mondo con diffidenza, come
se temessero da ogni parte e sempre di essere aggrediti. Sembrano
inoltre gradevolmente affascinati da spettacoli di violenza e di
morte. Non voglio generalizzare troppo: so infatti che ci sono persone
che si astengono dal consumo delle carni per ragioni strettamente
igieniche. Però, dietro a molte razionalizzazioni dei vegetariani,
traspare una predisposizione al sadomasochismo, un piacere di macerarsi
e tormentarsi, misto a un desiderio talvolta irrefrenabile di far
soffrire gli altri. Si nota in costoro anche una
facilità all'ipermoralismo che costituisce un pretesto per
accanirsi nella condanna dei comportamenti altrui, con sadica soddisfazione.
Questi sono i partner e gli educatori peggiori: di rado infatti
sono capaci di slanci di affetto sincero e di sensualità,
tanto sono irrigiditi nella difesa, appagati della sofferenza dell'altro
che vogliono punire, per colpe immaginarie.
L'esperienza clinica e la vita mi hanno posto davanti a un quesito
di non facile soluzione: «Perché i vegetariani, che
dimostrano spesso tanta sensibilità ecologica e naturalistica,
rispettosi come sono dell'ambiente e del suo equilibrio, sembrano
così facilmente cadere in comportamenti sadomasochistici?".
Dopo molte riflessioni, mi pare di essere riuscito a elaborare un'ipotesi
verosimile: cioè che in essi la pratica alimentare è
una difesa contro la loro stessa violenza; se infatti si permettessero
di cibarsi delle carni di quelli che percepiscono come cadaveri
avvertirebbero con troppa violenza il contatto con la morte, facendo
emergere dalle profondità dell'inconscio la loro potenziale
distruttività: con la «pietà» si difendono
dalla "spietatezza". Un mio conoscente, alcuni anni or
sono, mi raccontò come aveva deciso di diventare vegetariano.
Era giovinetto quando gli era capitato di veder uccidere dal nonno
un coniglio: ricordava lo strazio che gli avevano procuralo gli
occhi di quella bestiola, i contorcimenti del povero animale e altri
orribili particolari. Mentre mi parlava, mi accorgevo però
del compiacimento inconsapevole che egli provava nel riferire i
particolari più cruenti, i dettagli più macabri e
raccapriccianti che chiaramente gli procuravano brividi di inconfessato
piacere. Era anche evidente una sorta di identificazione nella doppia
immagine del nonno e del coniglio. La sua scelta di non mangiare
più carne era stata un modo di difendersi dai pericoli di
quelle identificazioni, rifiutando le eventualità di un rapporto
così diretto con la morte. Per quel che mi riguarda, da allora
mi ritraggo, con un po' di orrore, dall'occasione di analoghi racconti.
È importante, in ogni caso, che il vegetariano si proponga
di affrontare le fantasie, le pulsioni e i desideri del proprio
inconscio, in modo da smascherare il fascino per la violenza e la
distruttività che motivano la sua scelta. Ci si può
a questo punto chiedere quali effetti possa avere la presa di coscienza
e come possa conseguentemente evolvere il comportamento del vegetariano
consapevole. Come si modificano i suoi gusti personali? Una volta
guarito, si butterà voracemente su cosciotti e insaccati,
divorerà ostriche ancora palpitanti? Non è detto che
debba essere necessariamente così; in ogni caso sarà
positiva la maggior consapevolezza acquisita, che faciliterà
anche la tolleranza verso i "carnivori". In ogni essere
umano ci sono contraddizioni enormi, tanto nei vegetariani quanto
nei carnivori, però è particolarmente pericolosa la
tendenza a nascondere la violenza che è in noi, dietro atteggiamenti
moralistici che stigmatizzano i comportamenti altrui o a un falso
amore per le creature. Chi rifiuta di riconoscere la componente
distruttiva che nasconde dentro di sé, rischia di perpetuarla
e di permetterle di esplodere al di fuori dì ogni controllo.
II sacrificio di rinunciare a cibarsi di animali può allora
diventare l'alibi per ogni crudeltà.
Superficiali gerarchizzazioni
Ricordo una «dama» molto per bene, che inorridiva alla
sola idea di indossare una pelliccia cucita con le pelli di qualunque
animale, e che assolutamente non mangiava carni o pesci, nutrendosi
esclusivamente di verdure e latticini. Una sera, al ristorante,
la signora era lanciata, come d'abitudine, in una lunga tirata contro
i barbari consumatori di carni: «La vita va rispettata, pensate
agli agnellini, vitellini, galline e quaglie che vengono uccisi
per essere divorati in pranzi che sono veri e propri atti di feroce
barbarie!». Si dimenava e si agitava vieppiù: mentre
beveva calici di fresco vino bianco, giungeva a pestare i piedi
rivestiti di prezioso cuoio di capretto, tormentava con le dita
la fibbia d'osso della sua preziosa cintura di morbida pelle, firmata
da un noto stilista, apriva e chiudeva la borsa di coccodrillo,
per toglierne o rimettervi i costosissimi guanti "scamosciati",
vero e proprio monumento vivente di frivola inconsapevolezza.
Oltre ai casi di superficialità, ci sono poi quelli particolarmente
fastidiosi di "gerarchizzazione" del mondo animale: fanno
più pena gli animali cosiddetti selvatici e persino quelli
feroci, che non i polli o i vitelli; quasi nessuno compatisce i
pesci; in una sorta di vero e proprio razzismo che trova alcune
bestie troppo "carine" per essere mangiate e altre meno.
Certo, conta l'influenza delle fiabe raccontate dalle nonne o da
Walt Disney. Molti di quelli che inorridiscono al pensiero che il
Papa mangi l'agnello il giorno di Pasqua, resterebbero indifferenti
se sapessero che mangia invece un piatto di tortellini in brodo
di carne. È sempre il solito discorso per cui, in altre situazioni,
si discriminano gli ebrei o i neri. Un vero e proprio paradosso
scandaloso è che la stessa cultura alla quale appartiene
gran parte dei vegetariani e degli animalisti è favorevole
all'aborto: gente che inorridisce nel veder uccidere un'allodola,
propaganda la legittimità dell'omicidio, se la vittima è
il feto. Lasciando da parte quello che per me resta un motivo di
indignazione morale davanti a un comportamento criminale e tornando
entro i limiti della questione del vegetarianesimo, si può
notare come i vegetariani siano particolarmente contrari alla caccia
e non si impegnino allo stesso modo per la scomparsa di mattatoi
e batterie di allevamento, luoghi dove la vita e la macellazione
degli animali destinati all'alimentazione assumono connotati di
crudeltà.
Una sera, due amici in campagna, mentre fanno il loro jogging rituale,
scorgono un capannone illuminato, si avvicinano e scoprono una sorta
di inferno dantesco in cui centinaia di gallinacei, immobilizzati
davanti ai contenitori di mangime, alla luce abbacinante di potenti
lampade, sono costretti a mangiare continuamente, fino a raggiungere
il peso e le dimensioni richieste da una confezione sotto vuoto
spinto, da vendere nei supermercati. Io sono contrario alla caccia,
ma non per un fasullo pietismo: trovo infatti che, al di là
della più che giusta difesa delle specie in via di estinzione,
gli animali selvatici abbiano almeno la possibilità di condurre
una vita sensatamente felice in un ambiente naturale, prima del
colpo che li trasformerà inevitabilmente in vivanda. Del
resto la stessa ecatombe è il risultato della passione per
la pesca. Eliminerei comunque cacciatori e pescatori perché
mentre si dicono strenui amanti della natura, invece la inquinano
in mille modi col piombo e con le lenze, con i loro fuori strada
e fuori bordo.
In difesa dei ravanelli
Ho paura dei vegetariani, degli animalisti e dei troppo buoni,
perché so che cosa si annida sovente dietro le loro scelte
dichiarate. Non escludo però che quella del vegetarianesimo
possa essere un'esigenza autentica, a patto che il rispetto per
la vita sia riconosciuto nella sua totalità, sia pure con
la consapevolezza che senza nutrirsi a prezzo della vita altrui
non sarebbe possibile sopravvivere.
Allora: che cosa davvero si può mangiare e che cosa non si
deve? Da sempre il consumo delle carni animali è sottoposto
a molte regolamentazioni. La carne umana per lo più è
vietata. Molti precetti e limitazioni riguardano il consumo di carne
degli animali terrestri, aerei e acquatici: di fatto si mangia probabilmente
troppa carne e la nostra è una alimentazione squilibrata.
I vegetariani dicono, fra l'altro, che cibarsi di cadaveri aumenta
l'aggressività; non bisognerebbe mai uccidere per nutrirsi
di altri esseri viventi: uomini o animali. L'affermazione che l'uomo
non abbia il diritto di uccidere per sopravvivere, mi trova, da
un certo punto di vista, d'accordo, ma ho già accennato al
problema che si creerebbe per la sopravvivenza della stessa specie
umana. La vita è bella e sacra, la divinità ne è
garante, ma non sempre è facile riconoscerla e rispettarla
in tutte le sue forme.
Una sera mi trovavo a casa di un amico molto morale, ecologico,
vegetariano e non violento: mi stava preparando una cena tutta a
base di vegetali. Sul tavolo si allineavano i corpicini gialli,
rossi e verdi: carote, pomodori e lattughe. Con le faccine tonde
ornate da una lieve barbetta, braccia alzate, fibre vive e gonfie
d'acqua, un mazzo di ravanelli agonizzava in un canto: il mio amico
ne prese uno per le verdi braccine e con un morso ne addentò
la rossa testolina. Gli occhi suoi ebbero un guizzo e io un brivido:
mi ricordai di Polifemo che ingoiava i compagni di Odisseo. Perché
i ravanelli sì? Loro che vivevano felici nella terra umida,
con le loro piccole braccia tese verso il sole? Quanto desiderio
di vita c'è nelle piante, nel loro strisciare, palpitare,
affondare radici e sollevare infiorescenze, quanto amore forse!
Se non bisogna mai uccidere, perché i ravanelli sì?
Forse bisognerebbe correggersi e dire che ciò che non si
deve fare è uccidere inutilmente, gratuitamente, per divertimento,
o per sport. C'è però una situazione in cui uccidere
sia assolutamente necessario? Solo se saremo pienamente consapevoli
del nostro inevitabile ruolo di assassini, allora forse potremo
fare uno sforzo per evitare di sopprimere inutilmente la vita di
un altro essere, animale o vegetale che sia. Soprattutto impareremo
a rispettare maggiormente tutto ciò che vive: dal feto, agli
animali, con pelliccia, piume, o squame, agli alberi e ai fiori.
Fino ai piccoli teneri ravanelli.
Sandro Gindro
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