I NEMICI DEGLI
ANIMALI
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IL MONSIGNOR CAFFARA E LA VISIONE MEDIOEVALE
DEL RAPPORTO UOMO-ANIMALI Di
seguito riportiamo il testo integrale del discorso tenuto dal Mons.
Caffara alla Facoltà di Veterinaria dell'Università
degli Studi di Bologna
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
FACOLTA’ DI VETERINARIA
[15-01-05]
Magnifico Rettore,
Sig. Preside,
Sig. Sindaco - Signore e Signori,
sono profondamente grato alle Autorità accademiche per
il gradito invito di visitare questa Facoltà di veterinaria
in occasione della memoria liturgica di S. Antonio monaco, venerato
nella tradizione della Chiesa latina come patrono degli animali.
La mia gratitudine nasce oltre che dal fatto di poter ritornare
anche ora in ambiente universitario, nel quale io ho passato la
maggior parte della mia vita, dal fatto che mi si offre l’occasione
di riflettere brevemente, in un luogo prestigioso per la sua serietà
scientifica, su una dimensione essenziale della persona e della
vita umana: il rapporto cogli animali. Tema questo, come è
stato osservato da lei, Signor Preside, che oggi si pone in termini
assolutamente nuovi.
Lungi da me il presumere, nel breve spazio concessomi, di poterlo
affrontare nella sua completezza. Il mio proposito è più
semplice e nasce da una considerazione di buon senso.
La considerazione è la seguente. Quando si entra in un territorio
in larga misura sconosciuto ed inesplorato, non si cammina comunque
in esso: sarebbe stolto. Si deve fare il “punto della situazione”.
Fuori metafora. Nella relazione uomo-animale, territorio oggi in
larga misura sconosciuto ed inesplorato, esistono alcuni punti che
sono teoreticamente fermi e che hanno costituito dei veri pilastri
della nostra civiltà occidentale. Vorrei ora esporre brevemente
questi punti, mostrando sia pure telegraficamente come da essi derivino
alcune conseguenze operative. Ho già in questo modo anche
esposto il proposito di questa mia breve riflessione.
Mi scuso se il mio dire assumerà un tono un po’ apodittico.
Ciò è dovuto esclusivamente alla necessaria brevità
della mia riflessione. L’icastica apoditticità in questo
caso serve solo a dire con chiarezza quali sono le premesse fondamentali
su cui è necessario discutere e, se possibile, trovare un
accordo prima di introdurci nella problematica del rapporto uomo-animale.
1. Il primo punto sul quale vorrei attirare la vostra attenzione
è l’affermazione della essenziale diversità
dell’uomo dall’animale, che fonda una superiorità
ontologica ed assiologica del primo nei confronti dell’altro.
È il «principio-persona», vera colonna portante
della nostra visione della realtà.
L’essenziale diversità connota il fatto che nell’uomo
c’è “qualcosa” che lo fa altro dall’animale.
L’uomo è un soggetto sussistente di natura spirituale,
che vive della vita dell’anima. Egli non è totalmente
riducibile alla natura che lo circonda. Le azioni che sono irriducibilmente
umane - come la conoscenza, l’amore, la scelta libera,
di cui abbiamo continuamente coscienza - mostrano che nell’uomo
è presente un principio di operazione puramente spirituale.
Ciò non significa negare tutto ciò che l’uomo
ha in comune coll’animale; significa solo affermare che questo
che ha in comune coll’animale non è tutto l’uomo,
non è principalmente l’uomo. È questo che intendiamo
dire quando parliamo del «principio-persona».
Questa costituzione dell’uomo gli conferisce una superiorità
sul piano dell’essere [superiorità ontologica]: essere
persona umana è più che essere animale; ed una superiorità
di valore [superiorità assiologica]: essere persona umana
è meglio che essere animale. La persona è dotata di
una preziosità che l’animale non possiede.
Queste affermazioni penso che siano dimostrabili razionalmente,
certo facendo un uso della propria ragione diverso dall’uso
che ne fa lo scienziato. Ma esse si trovano già nelle prime
pagine del libro sacro sia per la fede ebraica che per la fede cristiana.
Secondo il testo ispirato l’uomo viene dalla terra come gli
animali, ma c’è in lui un soffio di vita che viene
da Dio [cfr. Gen 2,7]. È solo dell’uomo, non degli
animali, che si dice che Dio gli insufflò lo spirito di vita:
spirito che è di Dio e proviene da Dio; è di origine
divina. Questa realtà infatti nei testi paralleli è
attribuita solo a Dio e all’uomo, mai agli animali ed è
principio di funzioni alte, sempre in relazione a Dio. L’uomo,
non l’animale, è pertanto «ad immagine e somiglianza
di Dio» [cfr. Gen 1,27].
L’uomo appare così come il “confine” fra
due universi: l’universo neutro, impersonale delle cose e
degli animali cui egli partecipa tratto dalla terra come essi, e
l’universo delle persone cui egli partecipa in quanto sussistente
in una natura spirituale. È stato giustamente scritto che
«il materialismo non sta nella scoperta della funzione primordiale
della sensibilità, ma nel primato del Neutro» [E. Levinas].
2. Il secondo punto può essere formulato nel modo seguente:
la superiorità ontologica ed assiologica dell’uomo
nei confronti dell’animale fonda il rapporto di dominio nei
confronti della animale da parte dell’uomo. O - il che
equivale - il rapporto di uso.
La mentalità tecnica in cui viviamo può indurci a
dare a queste due parole - dominio/uso - un significato
insostenibile teoreticamente e praticamente. Provo ora a definirlo
il più rigorosamente possibile.
La natura ed in essa l’animale non ha in sé nulla di
sacro o di divino: il processo di totale desacralizzazione messo
in atto dalla fede ebraico-cristiana ebbe ed ha una rilevanza culturale
enorme. Dominio/uso significa dunque un vero potere che l’uomo
ha nei confronti dell’animale in ordine a scopi che egli si
prefigge: «tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi
e gli armenti, tutte le bestie della campagna» [cfr. S 8,7-8]
recita un salmo.
Dominio/uso non significa che la natura ed in esso l’animale
sia a totale disposizione dell’uomo, nel senso che l’esercizio
del suo potere non abbia nessun limite se non quelli che l’uomo
autonomamente pone a se stesso. Esiste una natura che diventa misura
dell’agire umano. Nella prospettiva delle fede giudaico-cristiana
l’animale è una creatura di Dio, e pertanto è
nella obbedienza al Creatore che l’uomo esercita il suo dominio
su tutto il creato. Lo “sposalizio” fra tecnica e natura
è la via da percorrere per evitare sia il fossato di una
riduzione dell’uomo alla natura sia di cadere nel fossato
di una dominazione violenta a cui cioè non ha diritto, dell’uomo
sulla natura e sull’animale.
Personalmente vedo la cultura occidentale in una seria difficoltà
teoretica e pratica a transitare senza esserne divorata, fra la
Scilli di una riduzione dell’intelligibilità della
natura alla sua strumentalizzazione da parte dell’uomo, e
la Cariddi di una riduzione dell’humanum al naturale senza
nessun residuo: la Scilli dell’ubris tecnologica e la Cariddi
della ridivinizzazione della natura. Il ricupero teoretico e pratico
del concetto di creazione ed in esso del «principio-persona»
mi sembra la via che consente alla fragile zattera della nostra
ragione di non andare a sbattere.
3. Il terzo punto potrei formularlo nel modo seguente: non esiste
una reciprocità vera e propria fra l’uomo e animale.
La reciprocità è «l’incontro nell’esteriorità
di due interiorità: fenomeno ignota agli individui puramente
materiali» [V. Possenti]. Mi limito a considerare una dimensione
di questa assenza della reciprocità: esistono doveri-diritti
reciproci fra le persone; non esiste una correlazione del genere
fra la persona e l’animale. L’animale non ha diritti.
La trasposizione della categoria concettuale di diritto intesa come
“facoltà tutelata dalla legge morale di esigere un
dovuto” al rapporto persona-animale o nasce dalla negazione
del principio-persona o porta coerentemente alla medesima negazione.
Il diritto infatti sussiste sempre all’interno di una relazione
fra l’uomo che possiede quella facoltà e gli altri
che la devono rispettare.
Ciò non significa, come ho già detto, che il dominio/uso
dell’uomo non abbia limiti obiettivi. I limiti sono fondati
sulla natura ragionevole dell’uomo; ciò che l’uomo
deve a se stesso è di agire ragionevolmente quando si rapporta
all’animale. Comportamenti di obiettiva crudeltà verso
l’animale, per esempio, non sono indegni dell’animale
[solo la persona ha una dignità], ma sono indegni dell’uomo
che li pone in essere. Comportamenti di equiparazione dell’animale
all’uomo non sono segno di rispetto all’animale [solo
la persona merita rispetto], ma sono un atto di ingiustizia verso
l’uomo perché lo degradano dalla sua regale dignità.
Mi piace concludere con un testo del Compendio della Dottrina
sociale della Chiesa [LEV, 2004; pag. 266, n° 487].
«L’atteggiamento che deve caratterizzare l’uomo
di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine
e della riconoscenza: il mondo, infatti rinvia al mistero di Dio
che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione
con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola.
Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione
di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo,
cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così
nell’orizzonte del mistero, che apre all’uomo il varco
vero Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo
sguardo dell’uomo come traccia di Dio, luogo nella quale si
disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice ».
E con un auspicio: che il desiderio espresso da lei, Signor Preside,
di istituire una lettura di “Etica del rapporto col regno
animale” abbia compimento.
Grazie della vostra attenzione.
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