I NEMICI DEGLI
ANIMALI
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Friedrich ENGELS "Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione
della scimmia"
Pubblicato per la prima volta nel 1896 sulla rivista
"Die Neue Zeit" anno XIV, vol 2 pp 545.554. Ora in Opere
complete vol XXV
(...) Lo sviluppo del cervello e dei sensi al suo servizio, della
coscienza che si andava facendo vieppiù chiara, della capacità
di astrarre e di ragionare, esercitò di rimando la sua influenza
sul lavoro e sul linguaggio, dando ad entrambi un nuovo impulso
per un ulteriore sviluppo. Questo ulteriore sviluppo non arrivò
davvero a una definitiva conclusione quando l'uomo arrivò
a distinguersi in modo definitivo dalla scimmia. Tale sviluppo invece,
nelle linee generali, è proseguito possente; certo in misura
diversa a seconda dei popoli e delle epoche, qua e là perfino
interrompendosi e subendo delle involuzioni in un dato posto e in
una data epoca. Esso fu da un lato potentemente stimolato, dall'altro
indirizzato in un senso determinato da un nuovo elemento che compare
quando l'uomo diviene veramente tale: la società.
Sono certamente trascorsi centinaia di migliaia di anni (non più,
per la storia della terra, di quel che sia un secondo per la vita
umana) prima che dai branchi di scimmie arrampicatrici venisse fuori
una società di uomini. Ma alla fine essa si trovò
formata. E qual è la differenza che noi troviamo ancora una
volta come differenza caratteristica tra il branco di scimmie e
la tribù di uomini? Il lavoro. Il branco di scimmie si limitava
a devastare il proprio territorio di pascolo, quel territorio i
cui limiti erano segnati o dalla posizione geografica o dalla resistenza
di un branco confinante. II branco intraprendeva si migrazioni e
battaglie, per conquistare nuovo terreno di pascolo, ma era incapace
di trar fuori dal suo territorio di pascolo più di quel che
la natura stessa offriva (a prescindere dal fatto che inconsapevolmente
lo concimava con i suoi escrementi). Una volta che tutti Ì
possibili territori di pascolo erano stati occupati non poteva più
aver luogo nessun incremento della popolazione delle scimmie; il
numero delle bestie poteva tutt'al più mantenersi costante.
Ma presso tutte le bestie ha luogo, in misura elevata, lo spreco
del nutrimento, e con esso l'uccisione in germe del nuovo nutrimento.
Il lupo non risparmia, come fa il cacciatore, la femmina del capriolo,
che gli deve fornire nel prossimo anno i piccoli. Le capre di Grecia,
distruggendo con il loro pascolare i piccoli arbusti all'inizio
della loro crescita, hanno spogliato di vegetazione tutti i monti
del paese. Questa «depredazione» propria delle bestie
riveste un importante ruolo nella graduale trasformazione delle
specie animali, in quanto le costringe ad assuefarsi a un nutrimento
diverso dal loro abituale: con ciò nuovi composti chimici
entrano nel loro sangue, e tutta la costituzione dell'organismo
si altera a poco a poco, finché si estinguono le vecchie
specie nelle forme in cui si erano una volta fissate. Non v'è
dubbio che tale depredazione ha potentemente contribuito all' umanizzazione
dei nostri antenati. Una razza di scimmie, molto più avanti
di tutte le altre per intelligenza e capacità di adattamento,
dovette essere portata da questa depredazione ad allargare sempre
di più il numero delle piante per il suo nutrimento, a scegliere
di queste piante sempre di più le parti adatte alla nutrizione
di modo che, insomma, il nutrimento divenne sempre più vario
e più varie con esso le sostanze immesse nell'organismo,
i presupposti chimici dell'umanizzazione. Tutto ciò non era
però ancora vero e proprio lavoro. II lavoro comincia con
la preparazione di strumenti. E quali sono gli strumenti più
antichi, quelli che ritroviamo per primi? Quelli che dobbiamo ritenere
come i più antichi, stando a ciò che è stato
scoperto del patrimonio degli uomini preistorici, e stando a ciò
che ci dice tanto il modo di vivere dei primi popoli di cui ci tramanda
notizia la storia, che il modo di vivere attuale dei selvaggi più
arretrati? Sono strumenti per la caccia e per la pesca: i primi,
al tempo stesso, armi. Ma la caccia e la pesca presuppongono il
passaggio dall'alimentazione puramente vegetale al gusto della carne:
e questo è un altro passo essenziale nel processo di umanizzazione.
L' alimentazione carnea conteneva, quasi bell'e pronte, le sostanze
più essenziali delle quali l'organismo ha bisogno per rinnovare
i suoi tessuti; abbreviò i tempi della digestione e con essa
di tutti gli altri processi vegetativi dell'organismo, cioè
di quei processi che hanno il loro corrispondente nel regno vegetale;
e porta con ciò un acquisto di tempo, di sostanze, di energia,
per l'attivazione della vita più propriamente animale. E
quanto più l'uomo in divenire, si allontanava dalla pianta,
tanto più si elevava anche al di sopra della bestia. Come
l'abitudine al cibo vegetale, accanto alla carne, ha trasformato
il cane e il gatto selvaggio in servitori dell'uomo, così
l'assuefazione alla carne come cibo, accanto ai vegetali, ha contribuito
a dare all'uomo in divenire forza fisica e indipendenza. Ma la nutrizione
carnea esercitò la sua influenza più importante sul
cervello, al quale pervenivano, in copia molto maggiore di prima,
le sostanze necessarie per il suo nutrimento e per il suo sviluppo,
e che si potè quindi sviluppare in modo più rapido
e più completo di generazione in generazione. Col permesso
dei signori vegetariani, l'uomo non si sarebbe formato senza alimentazione
carnea; e se è pur vero che l'alimentazione carnea ha prima
o poi, per un certo periodo, condotto tutti i popoli a noi conosciuti
all'antropofagia (gli antenati dei berlinesi, i Veletabi o Velsi,
mangiavano i loro genitori ancora nel X secolo), la cosa ormai non
ci tocca più.
L'alimentazione carnea portò a due nuovi progressi di importanza
decisiva: l'uomo imparò a servirsi del fuoco e ad addomesticare
le bestie. Il primo fatto abbreviò ancor di più il
processo digestivo, portando alla bocca un cibo, potremmo dire,
già per metà digerito; il secondo fatto rese più
abbondante l'alimentazione carnea, aprendo accanto alla caccia,
una nuova regolare forma di rifornimento, e procurò inoltre,
con il latte e i suoi prodotti, un nuovo nutrimento di valore certo
non inferiore alla carne per composizione. I due fatti divennero
così, già in modo diretto, nuovi mezzi di emancipazione
per l'uomo; ci porterebbe ora troppo lontano il soffermarci nei
dettagli sulla loro influenza indiretta, per quanto importante essa
sia stata per lo sviluppo dell'uomo e della società. (...)
(...) Quanto più però l'uomo si allontana dall'animale,
tanto più la sua influenza sulla natura assume l'aspetto
di attività premeditata, svolta secondo un piano indirizzato
a ben determinati scopi, anticipatamente noti. L'animale distrugge
la vegetazione di una regione senza sapere quello che fa. L'uomo
la distrugge per seminare sul terreno così sgombrato e per
piantarvi alberi e viti, e sa che egli riavrà la semente
moltiplicata. Egli trasferisce da una regione all'altra piante utili
e animali domestici, e modifica così la flora e la fauna
di interi continenti. Ma v'è di più. Con l'allevamento,
ad arte, tanto le piante che gli animali vengono modificati in modo
tale dalla mano dell'uomo, da divenire irriconoscibili. Le piante
selvagge, dalle quali discende la varietà del nostro grano,
si cercano ancora invano. E' ancor sempre in discussione da quali
bestie selvagge derivino i nostri cani, che tante differenze hanno
tra loro stessi, o le nostre altrettanto varie razze di cavalli.
E' del resto ovvio che a noi non viene in mente di contestare agli
animali la capacità di agire secondo un piano, premeditatamente.
Al contrario. Attività orientata secondo un piano esiste
già, in germe, dovunque protoplasma, albume vivente, esiste
e reagisce: compie cioè dei movimenti, sia pur semplici,
in conseguenza di determinati stimoli esterni. Tali reazioni hanno
luogo là dove ancora non ci sono addirittura cellule, per
non parlare di cellule nervose. Il modo in cui le piante che divorano
insetti afferrano la loro preda appare sotto un certo aspetto come
un'azione predisposta secondo un piano, per quanto del tutto inconsapevole.
Negli animali, nella misura in cui si sviluppa il sistema nervoso,
si sviluppa la capacità di un'azione preordinata e cosciente,
capacità che raggiunge già un alto livello nei mammiferi.
Nella caccia alla volpe inglese si può osservare ogni giorno
con quanta precisione la volpe sappia impiegare la sua grande conoscenza
dei luoghi, per sfuggire ai suoi persecutori, e quanto ben conosca
e utilizzi tutte le particolarità del terreno atte a interrompere
la traccia. Nel caso dei nostri animali domestici più altamente
sviluppatisi nella consuetudine con l'uomo, possiamo osservare ogni
giorno atti di scaltrezza che stanno assolutamente allo stesso livello
di quelli che fanno i piccoli dell'uomo. Poiché, come la
storia dello sviluppo del seme umano nel grembo materno non rappresenta
altro che un'abbreviata ripetizione della storia dello sviluppo,
lunga milioni di anni, degli organismi degli animali nostri antenati,
a partire dai vermi, così lo sviluppo spirituale del piccolo
dell'uomo non rappresenta che una ripetizione, solo ancor più
abbreviata, dello sviluppo intellettuale di quegli antenati, perlomeno
dei più recenti. Ma nessuna preordinata azione di nessun
animale è riuscita a imprimere sulla terra il sigillo della
sua volontà. Ciò doveva essere proprio dell'uomo.
Insomma, l'animale si limita a usufruire della natura esterna, e
apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l'uomo la
rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: la domina. Questa
è l'ultima, essenziale differenza tra l'uomo e gli altri
animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa
differenza.
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