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PSICOLOGIA E DIRITTI ANIMALI

Approfondimenti:
Tra psicologia e animalismo
La relazione tra l'uomo e il cane
Trattati come animali

Zoo e circhi


LA RELAZIONE TRA L’UOMO E IL CANE
Al di là della pet-therapy



di Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta


Statistiche inevitabilmente imprecise ci dicono che attualmente in Italia si contano oltre 42 milioni di animali domestici su una popolazione di circa 55 milioni di abitanti, mentre in Europa si parla di 310 milioni sui circa 341 milioni di abitanti: tale enorme numero è direttamente proporzionale al livello di urbanizzazione: in altri termini, chi si allontana dalla campagna, dove gli animali sono comunque presenti e visibili, o con i quali si ha un rapporto di tipo utilitaristico, sente una forte attrazione a ricreare un rapporto con loro nell’unico modo possibile, vale a dire adottandone uno. A ciò si aggiunga che il passaggio dalla società rurale a quella urbanizzata è andato di pari passo con quello dalla famiglia allargata e patriarcale a quella nucleare, piccola, tendenzialmente chiusa in sé stessa, che porta all’aumento delle situazioni di isolamento e chiusura, a cui gli animali di compagnia forniscono un possibile valido antidoto.
Il riferimento è a gatti, cani, criceti, uccelli, pesci, a cui a seconda delle mode più o meno transitorie vanno ad aggiungersi conigli, maialini ed altro ancora. A godere delle maggiori preferenze sono in genere i cani, anche se considerazioni di tipo pratico ed organizzativo inducono poi a rivolgersi verso specie di più facile gestione quotidiana.
Per quanto riguarda questi animali tanto ambiti, essi bene o male convivono con l’uomo da quando, circa 12.000 anni, fa si cominciò ad addomesticare i piccoli di lupo, antenati delle odierne variegatissime razze, e sono da allora stati usati per la caccia, per controllare il bestiame, per fare la guardia, per trainare le slitte: oggi sono moltissime le persone che ne tengono con sé un esemplare per il puro piacere di averlo e a queste si affiancano quelle, forse altrettanto numerose, che non possono permetterselo, ma che intensamente lo desidererebbero, primi tra tutti i bambini: a parte le eccezioni di quelli che ne hanno paura, davvero rari sono quelli che non hanno mai chiesto ai genitori di poterne possedere uno.
I motivi che sono alla base di questa tendenza tanto forte da costituire un costume sociale, sono estremamente vari: c’è di fatto una nuova spiccata sensibilità verso gli animali d’affezione, che entrano a buon diritto a fare parte di molte famiglie, che li considerano alla stregua di un membro vero e proprio, quasi con gli stessi diritti. Ma si è anche modificata la realtà della vita nel mondo occidentale, che spesso è povera qualitativamente; esiste il trend dell’emarginazione crescente, emarginazione che riguarda anziani, handicappati, singoli, disoccupati; è sempre meno facile la comunicazione interpersonale; l’incomprensione è più generalizzata.
In tutti questi contesti, la presenza di un animale e soprattutto di un cane sembra poter fornire le necessarie risposte a bisogni che altrimenti resterebbero insoddisfatti.
Se si considerano poi tutti i problemi, connessi all’accudimento, al nutrimento, alla pulizia, alla necessità di assicurare la propria presenza, bisogna prendere atto che evidentemente le spinte a godere della compagnia di un cane devono essere tanto grandi da by-passare gli inevitabili sacrifici che la loro presenza comporta.
Se richiesti di spiegare cosa rende il rapporto con il proprio amico tanto importante, i loro padroni danno di solito spiegazioni del tipo “Mi fa compagnia” oppure fanno riferimento a quella tanto riconosciuta dote di fedeltà, che sembra, tra tante, la più ambita.
Ma a meglio decodificare nello specifico il perché i cani siano così ricercati come compagni di vita vengono in aiuto i tanti studi, che si sono susseguiti a partire dal congresso di Toronto del 1954 sulla virtù terapeutiche degli animali domestici, e la diffusione della pet therapy, vale a dire quella terapia, nata negli Stati Uniti nel 1961 ad opera dello psichiatra Boris Levinson, il quale non ha fatto altro che prendere atto dell’esistente, vale a dire ha colto appieno il grande potenziale terapeutico insito nel rapporto biunivoco uomo-animale e lo ha codificato e strutturato mettendo a punto particolari interventi terapeutici a livello psico-fisico. L’assunto di base è che gli animali domestici, e i cani in primo luogo, per mezzo della loro presenza e della loro capacità di comunicare, possono mitigare e alleviare condizioni di malessere e disagio: certamente non sono guaritori di patologie, ma intervengono sul malato, curando non la sua malattia, ma lui, in modo solistico.
Gli studi su cui la pet therapy si basa sono del tutto trasferibili anche a condizioni che non sono di terapia vera e propria, ma che hanno comunque una valenza importantissima: in altri termini permettono di meglio inquadrare gli incredibili vantaggi connessi all’avere un cane.
Alla sua presenza possono essere riferiti miglioramenti relativi alla sfera fisica, relazionale, cognitiva, motoria, grazie ad una nutrita serie di dinamiche che la sua presenza mette in gioco.
Dal punto di vista fisico, per quanto di primo acchito possa sembrare incredibile, è stata scientificamente provata una significativa relazione tra il possesso di un adeguato animale da compagnia e la sopravvivenza in caso di malattie coronariche: l’induzione di uno stato di serenità, provocato da un buon rapporto con il proprio cane abbassa l’ansia e conseguentemente riduce la pressione sanguigna e rallenta il battito cardiaco.
Inoltre la presenza del cane induce una maggiore propensione al sorriso e quindi ad un miglioramento dell’umore: dal momento che è ormai assodato che questa condizione è benefica nell’aiutare a mitigare la morbilità come a favorire la guarigione, il cane svolge un ruolo analogo a quello del “dr. Sorriso”, tanto propagandato negli ultimi tempi: essere in grado di ridere o sorridere, non è solo un modo per migliorare la qualità della vita, ma è anche il mezzo che consente all’organismo di fare ricorso a risorse terapeutiche, che necessitano di essere opportunamente attivate.
I cani possiedono la capacità, estranea all’uomo, di “presentire” l’insorgere di attacchi epilettici o cardiaci: sono di conseguenza degli ottimi sistemi di allarme, che entrano in funzione con tempestività, di enorme utilità nei casi di persone che si trovano a vivere situazioni di isolamento.
Dal punto di vista psicologico, aiutano a vincere il senso di solitudine, che a volte è il riflesso di una situazione oggettiva, altre volte è connesso ad una situazione più sottile, di tipo intimistico, che induce a sperimentare un senso di estraneità, di non condivisione dello stesso modo di sentire delle persone che ci circondano. Agli effetti nefasti dell’isolamento dai contatti umani che comportano uno stato di sofferenza che puo’ divenire apatia e disperazione, l’offerta costante di compagnia da parte di un cane, che di tale compagnia è per altro il più felice fruitore, è valido antidoto.
Possedere il proprio animale favorisce il contatto fisico: l’azione di toccarlo, di accarezzarlo e lasciarsi da lui toccare, quando si sdruscia, lecca, si accoccola in braccio fa riferimento ad un sistema primario di comunicazione, che da una parte porta ad una riduzione dell’ansia, dall’altra permette di superare freni inibitori e di liberare la propria affettività, tante volte bloccata nei confronti dei nostri simili: questo perché il cane non è giudicante, accoglie con piacere ogni manifestazione di affetto, ne dà a propria volta. Bisogna ricordare che il contatto fisico, nella storia individuale, è una forma di comunicazione primaria, la prima ad attivarsi tra madre e bambino, precedente a quella verbale, ed è anche l’ultima a scomparire quando tutte le altre funzioni si sono deteriorate o sono andate perdute. Durante tutta la vita svolge un ruolo importantissimo per veicolare messaggi di vicinanza, di affetto, di solidarietà: ma sembra che questa azione diventi spesso per molti una sorta di tabù, in una società che tende a sessualizzare in modo spropositato le occasioni di relazione, ma poi induce a vivere con ansia ogni vicinanza fisica che superi le distanze di sicurezza emotiva: si finisce per evitare o irrigidirsi davanti alla possibilità di accarezzare ed essere accarezzati, toccare ed essere toccati, rinunciando per paura a quella mobilitazione di positivi stati d’animo ed emozioni, che il contatto corporeo veicola. L’atteggiamento non giudicante del cane induce a superare le inibizioni, permettendo la riappropriazione di tale modalità comunicativa, che ha il potere di placare l’ansia, rassicurare, rasserenare.

L’attaccamento: il legame che si viene a creare tra uomo e animale può, almeno in parte compensare la mancanza eventuale di quello interumano; anche l’attaccamento è una modalità di relazione fondamentale, innata nell’uomo come negli animali: siamo programmati per accostarci affettivamente ad altri, viviamo nelle relazioni; la loro mancanza crea una sorta di deserto emotivo, che è la condizione prima di infelicità.
Vivere con il proprio amico animale induce anche chi vive da solo a parlare: ricerche specifiche dimostrano che è altissimo il numero delle persone che si rivolgono anche verbalmente al loro cane, grazie ad un meccanismo di antropomorfizzazione che lo fa percepire come simile all’uomo: gli si parla con un linguaggio semplicistico, quale quello che si usa con i bambini piccoli, una sorta di “caninese” che convive con la convinzione di essere capiti; il meccanismo può apparire delirante a chi lo giudica dall’esterno in modo freddo, ma è necessario valutarlo con un metro diverso, quello che, nella etnopsichiatria, consente di ripulire da interpretazioni patologiche manifestazioni che non appartengono alla razionalità dell’uomo occidentale. In ogni caso la relazione uomo-cane (ma si badi bene: per molti vale lo stesso con il proprio pesce nella boccia di vetro!) è un modo utile ed efficace per recuperare al dialogo persone cadute nella spirale del silenzio.
Il cane sa esprimere le emozioni primarie (gioia, dolore, rabbia, paura) ed anche altre più complesse quali la gelosia o la vergogna: lo fa con la postura, modulando la voce, muovendo la coda, alzando o abbassando le orecchie; analogamente sa interpretare gli stati d’animo delle persone significative: capisce quando il padrone è arrabbiato, quando è triste, allegro, spaventato: c’è di conseguenza una forte possibilità di rispecchiamento reciproco; e ognuno sa quanto importante sia per il proprio benessere entrare con gli altri in una forma di comunicazione che superi le barriere della cronaca e investa quelle del sentire più profondo.

L’elemento ludico: la propensione a far giocare il cane riporta ad esperienze liberatorie, con conseguenze positive sia sul piano fisico che psicologico, che, vissute negli anni dell’infanzia e della giovinezza, spesso sono rimaste relegate a quelle fasi della propria vita personale e che, senza l’ausilio di questo sollecitatore animale, potrebbero non venire più messe in atto.
Possedere la propria bestiola funge da catalizzatore, da lubrificante sociale, in quanto crea con la semplice presenza le occasioni per interagire con gli altri: con la sua necessità di essere spesso portato fuori, facilita le relazioni sociali, agisce come una sorta di rompighiaccio: si viene a creare un meccanismo simile a quello che ben conoscono le mamme che escono con i bambini piccoli e che con grande facilità si confrontano con altre mamme: analogamente le persone estranee che si incontrano con il loro cane sono naturalmente portate a rivolgersi la parola, a confrontarsi, a relazionarsi, affievolendo la diffusa diffidenza iniziale. Per altro chi va in giro con un cane attrae l’attenzione, diviene oggetto di curiosità, fa sentire più importanti; ben lo sanno i pubblicitari che sempre più infarciscono i loro spot con la presenza di cani, che sia per pubblicizzare creme antirughe, gestori telefonici o carta igienica; e il successo da star del cane Ettore, new entry televisiva, è tale da persino offuscare la presenza al suo fianco di regine dello spettacolo.

Elicita il senso di responsabilità: per quelle persone che, per età o situazioni esistenziali, si sentono o sono escluse da responsabilità lavorative o di altro genere, per tutti coloro che sono presi in carico da familiari più giovani, che li esonerano da ogni incombenza e responsabilità, il doversi occupare di un cane diventa spesso ragione stessa di vita, aiuta a garantire un’immagine positiva e valida del proprio valore e della propria persona, favorisce il superamento del senso di inadeguatezza e inutilità, migliora l’autostima; vivere non è lo stesso che sopravvivere e quindi non è sufficiente essere soddisfatti nelle proprie necessità primarie per mantenere la propria identità. Sentirsi necessario, anche se solo per il proprio animale, significa comunque avere uno scopo. L’immagine struggente di Umberto D, eroe disconosciuto di uno dei capolavori di DeSica, ci rende un’immagine impagabile, migliore di ogni descrizione, del significato profondissimo che la presenza del cagnolino riveste per un vecchio uomo, nella disperazione del suo non essere più nessuno, perché privo di compagnia, di casa, di lavoro.

Per concludere, vale la pena di ricordare che la pet therapy sta cominciando ad entrare come terapia riconosciuta negli ospedali; che il ministro Sirchia ha affidato alle Regioni la possibilità di provvedere a che gli anziani nei pensionati possano tenere il proprio animale; che nelle carceri esiste già, per quanto limitata, la possibilità di averne.
Tutti questi movimenti documentano la sempre più diffusa presa di coscienza che il rapporto uomo animale contiene in sé incredibili valenze, ancora troppo disconosciute, che, se opportunamente elicitate, non possono che migliorare la vita dell’uno e dell’altro.
Attenti al cane dunque solo nel caso in cui gli umani abbiano messo in atto nei suoi confronti comportamenti tali da fare emergere in lui la paura, la diffidenza, la disperazione, e da averlo reso di conseguenza pericoloso e aggressivo; se gli umani invece si saranno comportati con lui con il rispetto che merita qualunque creatura vivente , non possiamo che dargli il benvenuto nel consesso umano che lui, come tutti gli appartenenti alle razze non umane, può solo migliorare.
Pascal diceva che ciò che ci risulta incomprensibile, non per questo cessa di esistere: se anche dovessimo fare fatica a capire attraverso quali vie i cani possono a tal punto modificare la nostra vita, il nostro scetticismo fortunatamente non sarebbe sufficiente ad interrompere la spirale positiva del rapporto che loro ci aiutano a creare.